Cultura
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Valmarecchia: un dipinto a cielo aperto

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Valmarecchia: sentirsi a casa, come dentro un caldo abbraccio, come una domenica in famiglia, come il profumo di una torta. Questo è quello che mi rimane tra le dita dei ricordi di tre giorni trascorsi qui, pennellati di rosso, arancio e tinte dorate, scanditi da un ritmo quieto, dove il tempo sembra non avere fretta di correre, felice di aver mantenuto immutata una rara atmosfera di autenticità.

Torno a casa con una certezza: è questa l’Italia che voglio raccontare, quell’Italia fuori dai grandi circuiti del turismo, ma che (forse) per questo è rimasta ancora vera, sincera. Dove non ti senti un turista, ma un Ospite, quasi un parente lontano che ritorna a casa dopo tanto tempo. Torno con il cuore pieno di umanità, un’emozione impalpabile che ti ristora nel profondo e che puoi trovare solo nei luoghi che alla corsa del moderno, preferiscono rimanere fedeli a se stessi e alle proprie tradizioni.


Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via.

Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente,
nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo,
che anche quando non ci sei resta ad aspettarti

– Cesare Pavese, La luna e i falò

Valmarecchia: dove siamo

La Valmarecchia è un territorio in cui tradizioni, paesaggi e storia di tre regioni si incrociano e si mescolano:  in effetti la Valmarecchia si origina nel comune di Badia Tedalda in Toscana e arriva a lambire l’estremo nord delle Marche, anche se la maggior parte di questo territorio si estende in Emilia Romagna. Questa vallata è una specie di spartiacque: la Valmarecchia si differenzia molto rispetto alle valli più a nord, tanto che il corso del suo fiume (il Marecchia) è utilizzato convenzionalmente come confine tra l’Italia settentrionale e quella centro-sud.

Una terra di verdi colline, puntellate di rocche, fortezze e piccoli borghi, molti dei quali tra i più belli d’Italia. Sono questi i territori che tra Medioevo e Rinascimento erano contesi tra Sigismondo Malatesta, signore di Rimini, e Federico da Montefeltro, duca di Urbino, e le tracce di questa contesa si leggono nelle numerose testimonianze storiche e artistiche di cui sono ricchi borghi e paesi.

Ma la Valmarecchia era anche una terra amata da poeti, scrittori e uomini di fede, che qui hanno trovato conforto e, spesso, ispirazione.

#day 1 – Ma quanto sei bella San Leo

Il mio weekend del Ponte di Ognissanti parte da San Leo, piccolo ma meraviglioso scrigno d’arte, citato addirittura da Dante nella Divina Commedia: oggi è uno dei Borghi più Belli d’Italia e Bandiera Arancione del Touring Club.

Per dormire ho scelto l’agriturismo Poggio Duca che se non mi ha soddisfatto in quanto a qualità dei servizi, mi ha regalato uno sguardo privilegiato sulla valle e tanti animali da accarezzare, come cavalli, asinelli e caprette.

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I cavalli dell’agriturismo Poggio Duca

Arrivo in tarda mattinata, giusto il tempo di scaldarmi all’ultimo sole d’autunno nel bel giardino dell’agriturismo in attesa del pranzo: un enorme piatto di pasta fresca, che mi fa subito capire che qui siamo in Romagna e che le porzioni abbondanti (e buonissime!) sono la normalità. Per fortuna che per visitare San Leo e arrivare fino alla Fortezza c’è una bella salita da fare!

Fino all’anno Mille il suo nome era Montefeltro: nome legato all’importante insediamento romano sorto intorno al tempio consacrato a Giove Feretrio, assume il suo nome attuale in onore di San Leone che, giunto insieme a San Marino dalle coste della Dalmazia, avrebbe evangelizzato la zona diventandone il primo vescovo. Il Medioevo è il periodo dello splendore della città e della famiglia dei Montefeltro, che fa di San Leo la sede della propria dinastia. Un potere che rimane saldo fino al XV secolo, nonostante un periodo di dominio da parte dei Malatesta di Rimini (tra XIII e XIV sec.), per poi passare in mano direttamente allo Stato Pontificio fino a che anche San Leo entra nel Regno d’Italia, nel 1860.

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Uno sguardo sul paesaggio della Valmarecchia da San Leo – © C. Buffone

Oggi San Leo conserva ancora il suo aspetto di borgo raccolto e compatto, con un cuore storico che risente dell’ordine e della semplicità dello stile romanico: sono infatti di questo periodo la Pieve, la Cattedrale e la Torre, nucleo della città medievale. La Pieve è il più antico monumento religioso del Montefeltro: la tradizione vuole che sia stato costruito sulla celletta in cui San Leo si ritirava in preghiera. A fianco, il Duomo realizzato in pietra arenaria, custodisce importanti tesori d’arte, tra cui un crocefisso del XIII secolo. La particolarità di entrambi gli edifici? Nessuno dei due ha un ingresso principale sulla facciata, ma ai due lati, a causa del terreno scosceso su cui sono stati costruiti.

Ma c’è anche un altro elemento che rende davvero speciale questo luogo: è stata trovata un’antica vasca rupestre, probabilmente un’ara sacrificale di epoca pagana incavata nella roccia, che fa capire quanto antica fosse l’importanza di San Leo come centro di culto.

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La Pieve di San Leo

Prima che cali il sole, salgo fino alla Fortezza, arroccata su uno sperone roccioso divenuto il simbolo stesso della città. A vederla da sotto, la Rocca pare quasi reggersi in un miracoloso equilibrio che dura dal VI secolo. Per la sua particolare posizione che la rendeva una costruzione militare inespugnabile, è stata costante oggetto di contesa fino a quando non venne conquistata da Federico da Montefeltro nel 1441. È lui che ordinò di ridisegnare completamente il mastio medievale, chiedendo aiuto all’architetto senese Francesco di Giorgio Martini nel 1479, che lo trasformò in una perfetta macchina da guerra: è sua l’idea di costruire la doppia cortina a congiunzione dei poderosi torrioni circolari già presenti, arrivando a progettare così un possente apparato difensivo che ancora oggi, sembra essere il prolungamento del masso che lo sostiene.

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Da quassù lo sguardo abbraccia tutta la valle fino al mare: il momento più magico è forse quello del tramonto, che infuoca i tetti e fa risaltare la tavolozza di colori di questo tiepido autunno.

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Il sole che infiamma la Rocca di San Leo – © C. Buffone

Nonostante la sua imponente bellezza, la Fortezza è stata scenario di violenza e dolore: sotto il controllo dello Stato Pontificio (1631) la rocca perse sì il suo scopo militare, ma fu adattata a carcere, dentro il quale fu rinchiuso il conte di Cagliostro, uno dei più enigmatici avventurieri dell’Illuminismo, dopo aver scontato quattro anni di prigionia e sofferenze imposte dall’Inquisizione. Si diceva infatti che fosse uno stregone, un alchimista, tracciato come eretico, fu quasi sepolto vivo nella Cagliostrina, un’angusta cella nella quale si poteva accedere solo da una botola sul soffitto. Pare che il fantasma del conte si aggiri ancora tra le stanze della Fortezza…

Scendo dalla Rocca che si è fatto buio e penso a com’è bello trovare posti come questo in cui non si è invasi dalla calca di turisti che affolla le città italiane più famose durante le festività: poca gente tra i vicoli in penombra, chi rimane cammina veloce per andare a cena: è il tempo di scaldarsi con un buon vino e un piatto fumante di passatelli ricoperti da una montagna di formaggio di fossa, una delle specialità di questa zona.

Buon appetito!

#day 2 – Verucchio, l’eremo di Saiano e  Pennabilli di sera

È domenica mattina e il sole ha ancora voglia di scaldarci nonostante sia Novembre: la sua luce fa risplendere Verucchio, un altro suggestivo borgo della Valmarecchia, a solo mezz’ora da San Leo. Anche qui, una Rocca ci osserva dall’alto, dominando imponente l’intero abitato e la vallata.

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Metti una domenica mattina di sole a Verucchio… – © C. Buffone

La Rocca è quella dei Malatesta, detta anche “Rocca del Sasso” proprio per la sua posizione su uno sperone roccioso da cui si scorge anche il mare: come a San Leo, è difficile distinguere tra l’opera dell’uomo e quella della natura e, guardandola da lontano, pare sia sempre esistita. L’interno ripercorre le vicende storiche della famiglia dei Malatesta che a Verucchio iniziò ad affermare la sua potenza: tra le particolarità, una sala interamente tappezzata con le ricette tipiche dell’epoca dei Malatesta, oltre che un enorme albero genealogico della famiglia.

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La Rocca Malatestiana di Verucchio – © C. Buffone

Dopo la visita delle sale del Castello di Verucchio e un’ultima passeggiata tra le vie del centro, è tempo di raggiungere un’altra altura, questa volta non un simbolo di potere militare, ma religioso: si tratta dell’Eremo della Madonna di Saiano, luogo di intensa spiritualità, meta di pellegrinaggi e di preghiera sin dal 1300. Per raggiungerlo, si attraversa un breve sentiero nel boscoeremo-madonna-saiano: la salita ha il potere di prepararti ad accogliere il messaggio che troverai una volta arrivato quassù, qualunque esso sia. Luoghi come questo riescono infatti a parlare al cuore, perchè la bellezza della creazione dell’uomo e della natura non può lasciare indifferenti. Un luogo di pace e silenzio, uno spazio raccolto dove fermarsi un momento, in ascolto. In ascolto di quella voce che parla dentro di noi, che cerca di farsi sentire ma che non abbiamo tempo di considerare, troppo presi dalla paura che possa dirci la verità, incapaci di gestirla. L’Eremo di Saiano è un simbolo di solitudine non come vuoto da colmare, ma come bene prezioso da custodire: ad affermare questo, la presenza di un sacerdote che risiede stabilmente qui, per invitarci a non scappare dalla solitudine di noi stessi, ma ad incontrarci per conoscerci nel profondo.

Un luogo suggestivo che ho davvero amato molto.

Pennabilli, luogo dell’anima

Il mio weekend in Valmerecchia continua tra i luoghi dell’anima di Tonino Guerra, poeta e sceneggiatore che aveva scelto Pennabilli come casa e come centro di ispirazione per la sua attività artistica.

C’è chi non sa dove andare e sta correndo per andarci subito.
– Tonino Guerra (Santuario dei Pensieri)

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I silenzi sospesi del borgo di Pennabilli – © C. Buffone

Pennabilli è la scenografia perfetta per la fantasia del poeta, trasformandosi in un museo diffuso a cielo aperto in cui si scorgono, inaspettate, le sue creazioni: come l’Orto dei Frutti Dimenticati, dove si possono trovare il biricoccolo, la corniola, il giuggiolo e la ciliegia cuccarina; o come la Fontana Foglia da dove l’acqua zampilla come fosse linfa, fino al Santuario dei pensieri, il giardino della meditazione laica voluto dall’artista. La sua creatività ha invaso i vicoli del borgo, che dal 1991 ha iniziato a riempirsi anche di bellissime meridiane, oggi raccontate attraverso cartelli che ne spiegano il funzionamento. I Luoghi dell’Anima di Tonino Guerra creano una narrazione che da’ un senso nuovo al camminare: ogni angolo, ogni scorcio, ogni dettaglio di Pennabilli ci invita a procedere con lentezza e ad aprirci alla curiosità. Tonino Guerra è riuscito a dimostrare come l’arte e la creatività sono in grado di trasformare un luogo e di stimolare la fantasia di ognuno di noi, per invitarci a creare il nostro unico e personale racconto.

gioconda-con-indicazione-rilieviMa Pennabilli è anche la Gioconda: a quanto risulta da una ricerca di due studiose italiane, il paesaggio rappresentato alle spalle di Monna Lisa è proprio quello che abbraccia il borgo. Le studiose (definite come autentiche “cacciatrici di paesaggi”), hanno spiegato come Leonardo utilizzasse un codice complesso attraverso il quale a volte comprimeva e altre espandeva la morfologia del paesaggio reale, dimostrando con certezza che le sue pennellate riproducono la vallata del Montefeltro. Da questa importante scoperta è nato il progetto ‘Montefeltro Vedute Rinascimentali’, un percorso storico e paesaggistico che vuole ridare luce al “paesaggio invisibile”, restituendo al mondo i paesaggi dipinti che i pittori del Rinascimento scelsero per gli sfondi delle loro grandi opere d’arte.

Pennabilli è diventato così uno dei luoghi da cui poter vivere l’esperienza di entrare direttamente nel quadro, un altro modo per conoscere l’arte e diventare parte stessa del racconto artistico.

#day 3 – Santarcangelo di Romagna e Brisighella

Santarcangelo di Romagna, dove andare piano è un lusso per tutti

Innamorarsi al primo sguardo: questo mi è successo appena arrivata a Santarcangelo di Romagna, città slow per eccellenza, parte della rete internazionale delle città del buon vivere. santarcangelo-di-romagnaNon è facile spiegare a parole questa emozione, specie dopo le meravigliose suggestioni vissute in questi giorni. A Santarcangelo pare che tutto si incastri alla perfezione: tradizione e creatività, passato e presente, lentezza e dinamismo sembrano convivere in maniera esemplare, dove il vivere bene è una realtà, non una sensazione.

Qui l’arte, la cultura, la storia e le tradizioni sono di casa: lo si respira nelle sue piazze, nei suoi suggestivi angoli e nelle tante manifestazioni artistiche che scandiscono le stagioni, divenute anche attrazioni turistiche (basta pensare a Sntarcangelo dei Teatri, Festival Internazionale del Teatro in Piazza è una delle più importanti manifestazioni teatrali italiane). Il suo centro storico rigorosamente ristrutturato, racconta un’attenzione speciale alla difesa dei segni del passato e anche gli abitanti sembrano sapere di vivere in un’isola di felicità: lo si comprende guardando le porte delle case, sommerse di fiori, piante, i piccoli giardini curati, le vetrine dei negozi, le insegne dei locali. Qui sembra che tutto si muova fluidamente in funzione del bene comune, dove cittadini e amministrazione sembrano collaborare realmente invece che farsi la guerra: il risultato è un’atmosfera di benessere che ti avvolge, circondati da una bellezza evidente che appaga il cuore prima che gli occhi.

Il Museo del Bottone di Santarcangelo

Museo del Bottone hai detto? Mica vorrai entrare? Sì, per fortuna che sono entrata: chi immaginava che anche dietro ad un ‘semplice’ bottone ci fosse un intero mondo, un racconto in miniatura delle diverse epoche storiche? Attraverso questa memoria materiale della moda, Giorgio Gavallotti ha costruito un percorso narrativo fatto da oltre 65.000 bottoni, molti dei quali vere e proprie opere d’arte. Frutto dell’archivio del padre titolare di un’antica merceria, il museo continua ad arricchirsi con donazioni sia antiche che moderne, come i bottoni della t-shirt dell’astronauta Samantha Cristoforetti. Inaugurato nel 2011 il Museo del Bottone, unico in Italia, è un’occasione per ripercorrere le tappe che hanno cambiato il mondo: dalla stravaganza della Belle Epoque alla raffinatezza del Giappone, dalla prima guerra mondiale ai campi di concentramento, dalla rivoluzione culturale degli anni 70 agli anni di piombo, questo piccolo museo è una riflessione sul nostro passato e sul presente, che vi consiglio di non perdere.

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Il Museo del Bottone a Santarcangelo di Romagna

 

Qualche passo più avanti e siamo in un altro mondo di suggestioni, il Museo Permanente di Tonino Guerra:  ideato e realizzato dal figlio Andrea, è un viaggio tra il mondo colorato del poeta e scrittore, dove tutto racconta il suo ottimismo rispetto alla vita. Acquerelli, pastelli, arazzi e affreschi, piccole e grandi opere in ceramica, legno, ferro, oltre ad ricca sezione multimediale nella quale rivedere tutti i suoi film o ascoltare le sue poesie in dialetto: un ricco percorso che ne testimonia la vita e il genio creativo, che ha trasformato Santarcangelo in un racconto della fantasia.

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Brisighella, borgo ospitale in terra di Romagna

Il borgo arroccato di Brisighella, tra i più belli d’Italia, è l’ultima tappa del mio weekend in Romagna e nella Valmarecchia: da mesi era nella mia lista delle ‘mete da vistare prima possibile’ 😉 e il mio desiderio è stato esaudito.

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Brisighella è l’ennesimo baluardo del buon vivere che contraddistingue queste terre, un borgo immerso in un paesaggio naturale quasi fiabesco. Non per niente anche questo entrato nel circuito delle città slow, dove l’uomo e la natura convivono in modo armonioso, lontano dai ritmi stressanti e l’isolamento delle città. Ti senti accolto e rilassarti ti viene naturale: gli occhi si riempiono dello splendido paesaggio del Parco Regionale della Vena dal Gesso dentro cui è immersa, che in questa stagione autunnale regala sfumature dai toni dorati.

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Si sale anche a Brisighella: anche questo borgo medievale si sviluppa su tre pinnacoli rocciosi, i famosi tre colli, su cui poggiano la rocca manfrediana, il santuario del Monticino e la torre detta dell’Orologio. Ma prima di arrivare su in cima, una passeggiata lungo l‘Antica Via del Borgo, un percorso coperto davvero particolare, nato in origine come camminamento di ronda e via di comunicazione del XIV secolo e solo più tardi inglobata nelle abitazioni quando perse la sua funzione di difesa.

Brisighella è un dedalo di viuzze acciottolate, gente sorridente e ospitale, panorami sospesi dove ritrovare il proprio tempo, staccarsi dagli affanni del quotidiano e comprendere che un altro modo di vivere è possibile.

 

Sono stati tre giorni ricchi di emozioni, in una terra dove ho percepito la condivisione dei miei stessi valori: l’attenzione all’ambiente, al bello che ci circonda e che è patrimonio di ognuno di noi; la gioia di uno sguardo sincero, la semplicità delle cose fatte col cuore.

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